PERIFERIE IMMAGINARIE | Emmanuele Mattiocco
testo critico di Rossella Della Vecchia
Che cos’èuna periferia immaginaria?
L’essenza urbana della città o una città altra? La metafora concettuale di una condizione esistenziale o, come in questo caso, di una serie fotografica?
Incentrata sulla poetica formale del fenomeno urbano, la ricerca di Emmanuele Mattiocco (Roma, 1980) si fonda su contenuti elaborati ed amplificati in camera oscura. Esteticamente iscritta nell’architettura della periferia romana, questa serie in bianco e nero, realizzata su pellicola 35 mm, “sviluppa” le potenzialità concettuali della fotografia, traendo i suoi presupposti da un precedente studio del 2017/2018.
Intervenendo direttamente sui negativi, precedentemente sviluppati e fissati manualmente, in Periferie Immaginarie l’artista asseconda il richiamo delle linee e delle forme geometriche dei conglomerati, riassemblando le matrici in nuove architetture impresse su carta politenata. In camera oscura, quindi, Emmanuele Mattiocco conferisce nuova forma alla “periferia”, riaffermando contemporaneamente l’esigenza di un’espressione critica del mezzo fotografico. In tal senso, la sua manipolazione del negativo cancella l’“istante” originale, trasformando il luogo di sviluppo in quello di un nuovo “scatto”: non immortalata per mezzo dell’obiettivo, ogni immagine trascende il connaturato principio di “scrittura di luce”, mettendo in discussione il ruolo del fotografo-artista, quanto lo stesso concetto di fotografia.
Ben distante dall’idea del collage fotografico, qui, l’effetto stratificato restituito in fase di stampa ci introduce ad una disamina sull’immanenza della visione, abolendo ogni sua gerarchia. Ecco che la scelta di un soggetto così brutale, quale paradigma sociale di una marginalità dal benessere che viene celebrato altrove, porta in primo piano l’assunto di una soggettivazione sintetica dello spazio, che da reale diventa mentale – “immaginario”, appunto – denotando un’intrinseca essenza “performativa” della fotografia. Ed è proprio l’estetica urbana, nella reiterazione delle stesse inquadrature, a focalizzare il nostro sguardo su dettagli sempre più piccoli, fugaci nella frenetica ed ordinaria disattenzione quotidiana.
Sostanzialmente, quindi, Periferie Immaginarie non ha lo scopo di mappare né la periferia romana né la sua architettura in senso stretto, ma piuttosto quello di evidenziare la disgregazione della consueta ottica fotografica, rinnovando, nel pieno dell’egemonia digitale, un interesse artistico per i possibili risvolti del medium analogico. Non una mostra fotografica, dunque, ma propriamente un’esposizione ontologica sulla fotografia, che coinvolge lo spazio: sia quello delle periferie, quale soggetto dell’esegesi su negativo, sia quello della camera oscura, quale suo medium concettuale.
Perfettamente inscritto in un’operazione curatoriale che offra un ulteriore strumento creativo a servizio dell’opera, l’allestimento immersivo di Periferie Immaginarie, presso la Galleria 291 Est, alimenta un’ideale correlazione tra il momento dello sviluppo e quello della sua rivelazione in mostra. Appositamente realizzato da Vania Caruso, tale progetto espositivo ambisce a ricreare letteralmente l’esperienza fotosensibile della camera oscura. Qui l’espediente tecnico, che richiama l’illuminazione inattinica, sovrappone empiricamente l’interazione con gli spazi esistenti a quella con il processo analogico, guidandoci ad una visione dapprima latente e poi palesata delle immagini esposte.
Nel suo fulcro cognitivo anche lo spazio reale, di conseguenza, contribuisce a ridefinire la consueta narrazione dell’architettura urbana, mettendo l’osservatore in condizione di dedicarsi alla stessa riflessione analitica intrapresa dall’artista: una modalità di fruizione, lenta ed accurata, che ribadisce l’importanza del tempo e dell’osservazione nella fotografia.
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Testo critico di Rossella Della Vecchia