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2WAY artisti in mostra SERGIO SALOMONE | SEVAK GRIGORYAN

un progetto di Glory All e Galleria 291 Est
a cura di Roberto D'Onorio e Vania Caruso
inaugurazione sabato 6 ottobre 2012

In occasione della Giornata del Contemporaneo promossa da AMACI, sabato 6 ottobre Glory All e la Galleria 291 Est presentano 2WAY, progetto espositivo che si articola in un doppio evento che avrà luogo simultaneamente all’interno dei rispettivi spazi.

Le due mostre, diametralmente opposte nello spazio fisico, contaminano l’esposizione dell’opera testimoniando fotograficamente il lavoro dell’altro.

2WAY, da movimento all’Esperienza indiretta che rende il vicino lontano, presente e assente, mettendoci in contatto con gli eventi, ma non con il loro vissuto. La doppia esposizione offre lo stesso spettacolo ma in diversi luoghi, divenendo arena dell’inganno visivo oltre che l’unificazione che esso realizza: il linguaggio ufficiale della separazione generalizzata.

NON CI AMMAZZERETE MAI TUTTI di SEVAK GRIGORYAN

presso Galleria 291 Est
A cura di Vania Caruso e Rossella Della Vecchia
Progetto fotografico di Michele Borghesi Con il patrocinio dell’Ambasciata della Repubblica d’Armenia

“Stiamo marciando verso Deir ez-Zor piangendo, nel mezzo del fuoco, nel dolore. Non c’è speranza, non una luce. Canto una ninna nanna al mio bambino. Io la canto e lui dorme. Dormi dormi dormi, non pensare che la strada è lunga e il tuo cuore innocente non sarà turbato. Noi siamo esiliate, non abbiamo una casa, siamo deportate, non abbiamo un luogo, non abbiamo nemmeno Dio a giudicare.

La nostra pena è senza fine. Hai pianto e sei sfinito. Goccia a goccia ti sei disseccato succhiando il mio seno asciutto. La tua anima giusta era turbata, eri stanco, stanco di piangere. Goccia a goccia te ne sei andato. Non ho più latte da darti, solo sangue esce dai miei occhi”.

(tratto da Nazei Oror (Lullaby of Naze), ninna nanna armena)

 

Ne La Giornata del Contemporaneo Galleria 291 ha scelto di considerare la difficile questione del Genocidio, che inevitabilmente nega il progresso di una società, che si vorrebbe “Iper-Contemporanea”: il regresso morale, di lucreziana memoria, non può trascendere tale implicita cognizione di orrore e dolore.

Ad oggi l’ONU è giunta a condannare la spinosa situazione con l’adozione della definizione di “atti commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionaleetnicorazziale o religioso“, in luogo di quanto fece il giurista polacco di origine ebraica, Raphael Lemkin, che nel 1944  per primo arrivò a coniare il termine di genocidio, indicando il massacro degli Armeni come l’esempio più chiaro. Le considerazioni di Lemkin tenevano di certo conto del caso armeno, poiché il primo del XX secolo, rendendolo uno dei più eclatanti, in riferimento anche alle affermazioni di Hitler del 1939: “Chi parla ancora oggi dell’annientamento degli Armeni?”. Il Führer infatti giustificava il proprio programma di sterminio, riscontrando nella soluzione armena un precedente istruttivo, visto che non solo il mondo era stato capace di dimenticare, ma l’aveva anche accettato.

Ad oggi chi ne ha memoria? Chi condanna gli errori della storia, evitando che si riverifichino nel presente?

Anno 1915: 1,5 milioni di vittime, nessuna logica, nessuna gogna. 6 ottobre 2012: il bilancio è di diversi casi di sterminio, mentre molti altri si perpetrano attualmente all’ombra di verità taciute, piaga della dis-informazione mediatica.

Paradossalmente una pulizia etnica totale non è realizzabile: “Non ci ammazzerete mai tutti!” grida una donna in La Masseria delle Allodole di Antonia Arslan, ormai pronta a sacrificarsi per favorire la fuga di alcuni bambini. Non ci ammazzerete mai tutti è il grido che Galleria 291 lancia nuovamente, dopo un pregresso progetto a riguardo, con l’opera del ritrovato artista armeno, Sevak Grygorian.

Grygorian mette in campo, ancora una volta, la memoria del suo popolo e della sua intima ferita: la testimonianza, traslata in generazione, di un periodo buio, riscattato dalla luce dell’arte. Laddove ha taciuto e tace la storia, laddove anche “Dio ha smesso di giudicare”, come recita una nenia armena, la verità viene affidata alle trasmissioni orali e alle produzioni artistiche della diaspora, che dissuadono dalle menzogne delle fonti ufficiali. In questa prospettiva nessun mausoleo verrà eretto: solo un “bambino” ci mostrerà l’orrore e la disperazione di una rivendicazione, che non vuole vendetta, ma sfida l’oblio. Un semplice volto si moltiplica in quello di tanti altri, con la precisa intenzione di essere intimamente ascoltato. Nel suo tragico silenzio, l’infanzia rubata, interrogherà lo spettatore sulla sua vera consapevolezza storica, in un labirinto emozionale che non risparmierà lo shock finale d’ignoti numeri, vigili contro coscienze pericolosamente sorde. Solo nel corso dell’iter stesso si potrà forse arrivare a comprendere: il lavoro è infatti impostato quasi interamente sullo spettatore, sulle sue reazioni, sulla sua presa di coscienza, sulla sua educazione.

Nel futuro che irrompe dalla porta, il presente evoca il passato, documentando l’ignavia dell’era contemporanea. Siamo davvero così impotenti e fatalisti? Un nuovo avvenire per i posteri forse è possibile, ma l’immaginazione corre veloce e si scontra con un’insormontabile incognita viscerale.

 

[ … ]

 

ARMENIA: 1915.  1.400.000;

HOLODOMOR: 1932 – 33.  7.000.000;

SHOAH: 1941-1945. 5.200.000;

CAMBOGIA: 1975 – 79.  1.800.000;

RUANDA: 1994.  800.000 – 1.000.000;

BOSNIA: 1992 – 1995.  100.000 – 120.000;

X: …

 

Progetto Fotografico:

Contro ogni autoreferenzialità dell’artista, contro ogni autonomia dell’arte, l’attenzione è totalmente rivolta al tema, che per importanza e rilevanza storica pretende un dovuto spazio di riguardo. Pertanto la necessità di unire diverse forze artistiche si spiega da sola: il progetto si sviluppa consequenzialmente a 1915 del 2010, ed è allo stesso tempo il preambolo di un conseguente sviluppo nell’intento dell’ideatore Sevak Grigoryan. Questo lavoro si snoda in un continuo processo di causa-effetto che coinvolge artisti e tecniche diverse, divenendo l’emblema sociale della coesione, finalizzata al cambiamento della società stessa: si rispolvera per l’occasione il ruolo dell’artista-vate. A tal fine l’aspetto della fotografia è stato affidato all’esperienza di Michele Borghesi, che usando alternativi processi fotografici, che egli ama definire di “serie B”, si fa carico della concettualizzazione di Non ci ammazzerete mai tutti presso lo spazio espositivo della 26 CC. Borghesi si appropria della cianotipia, trasposizione di quella che in origine non era una tecnica nobile di fotografia, ma che raffinata da Mike Ware, viene ora rimpiegata per sottolineare il senso dell’intero progetto: sfruttare al massimo il potenziale di una tecnica povera, per dare maggiore forza espressiva al messaggio proposto.

BIO

Sevak Grigoryan nasce in Armenia nella città di Yerevan nel 1979, nel 1990 frequenta il Centro Repubblicano di Educazione Estetica nella sua città natale con il “Gruppo studiosi della scultura” per proseguire poi il proprio percorso di formazione presso il liceo artistico ” P. Terlemezyan”, percorso che lo porta poi a diplomarsi in scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Yerevan. La sua curiositè e dedizione alle arti plastiche lo portano fino in Italia dove lavora e studia, da prima all’Accademia di Belle arti a Firenze, poi a Roma, dove studia presso la Scuola dell’arte della Medaglia dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, e dove apre la sua personale presso la Galleria 291 Est nel 2009 “La danza dei sette veli” e a seguire “1915” nel 2010. Nella sua carriera numerose le esposizioni che svolge nel suo paese, terra a cui è molto legato, tanto che nel 2003 realizza anche un’opera pubblica intitolata “Phoenix” nel tufo, per la piazza principale della città di Spitak. Attualmente vive e lavora a Roma.

 

Michele Borghesi nasce a Perugia nel 1979.

Affascinato dalla fotografia,  passione ereditata dal padre, l’assorbe con gran entusiasmo fin da giovane, facendola sua nel tempo. Autodidatta, particolarmente legato al mondo del reportage, lavora soprattutto nell’ambito di festival musicali e degli eventi d’arte. Sempre mutevole e alla ricerca di nuove sinergie nella sua collaborazione con artisti di ogni genere, ha esperienza anche nel campo dei  procedimenti di stampa alternativa, ed in particolare per quanto riguarda le prime tecniche dell’800, quali la cianotipia, la gomma bicromata e la stampa bruna. La dedizione e il credo artistico rivolto a tale procedimento di stampa è totale: realizzato in camera oscura, rappresenta la concreta volontà di una continua ricerca di valorizzazione della fotografia stessa. Allo stesso tempo ciò gli permette di recuperare e riscoprire il gesto fotografico, sempre più spesso vittima della meccanicizzazione dell’individuo. Questo gioco alchemico è il risultato finale di un processo mai scontato ma teso all’elaborazione di uno stato d’animo, di un’ispirazione e dell’istinto di una viscerale e autentica passione.

RULES di SERGIO SALOMONE

presso Glory All
A cura di Roberto D'Onorio

A cura di Roberto D’Onorio, Glory all inaugura il secondo appuntamento all’interno della 26cc ospitando Rules, installazione di Sergio Salomone composta da 36 soldatini  “ingoiati” per metà in tavolette di paraffina colorata  che inneggiano motti di falsa speranza.

In tempi di crisi le demagogie fioriscono intrappolando il pubblico nell’impraticabilità dell’azione,  così come i soldati, armati e pronti all’avanguardia di Rules evocano, non l’esercizio di volontà di potenza, ma l’immobilità del pensiero.

Il materiale insapore e inodore, untuoso al tatto, facile alle rottura e sensibile ai cambiamenti di temperatura, mantiene la specialità mobile e fragile del linguaggio, che liberato dalla  rigidità pragmatica del messaggio di propaganda, gli dona un’espressività imprevista.

 

istallazione

tavolette di paraffina di cm 24×35 e 17.5×26.5 con soldatini di plastica

dimensione istallazione variabile

Roma, 2010

 

“Il termine angloamericano ‘slogan’ deriva dall’antica voce gaelica ‘sluagh-ghairm’ che significa ‘chiamata dell’esercito’. In un secondo tempo il termine viene usato col significato di ‘grido di guerra’ dai clan scozzesi. Questo il sentimento che muove i 36 soldatini “ingoiati” per metà in tavolette di paraffina colorata  che  danno vita all’opera di Sergio Salomone. Armati e pronti all’avanguardia l’esercito di Rules evoca, non l’esercizio di volontà di potenza, ma l’immobilità del pensiero che i motti incisi nelle tavolette testimoniano.

Il materiale insapore e inodore, untuoso al tatto, facile alle rottura e sensibile ai cambiamenti di temperatura, mantiene la specialità mobile e fragile del linguaggio, che liberato dalla  rigidità pragmatica del messaggio di propaganda, gli dona un’espressività imprevista.

In tempi di crisi i motti fioriscono trascinando il pubblico attraverso false promesse, alimentando la paura o l’odio nei confronti dell’avversario o di minoranze come capro espiatorio. Demagogie che intrappolano, imprigionano il pensiero, come vere e proprie armi asservite all’attesa di un cambiamento; non sorprende quindi, che nella nostra epoca la delusione pervade il presente come impraticabilità dell’azione.